A cosa serve la poesia?

di Italo Bonassi

La poesia ha bisogno di appassionati che scrivano versi, non importa se modesti o ispirati, poiché tutti si nasce poeti dentro, c’è chi ha la cultura e l’ispirazione per eccellere e chi più modestamente si esprime in tono minore, non perché sia meno ispirato, ma perché ognuno usa gli strumenti linguistici che ha a sua disposizione. E in effetti, nell’esercizio della scrittura, ruolo fondamentale lo svolgono gli studi fatti, ma se uno non sente la poesia dentro di sé, fosse anche un professore d’Università, nulla potrebbe farne un poeta, perché con la poesia non si deve andare fino in fondo alla riga.

Una poesia non è un andare ogni tanto a capo, come nella prosa, con la quale si va fino in fondo alla riga, ma andar ogni tanto a capo non è sufficiente per dire che uno scritto è un testo poetico, perché si sa che, come nella musica, anche la poesia ha un suo ritmo, una sua scansione, una sua musicalità, delle regole da seguire, e uno che la poesia ce l’ha nel sangue le segue d’istinto, esattamente come uno, che ha un buon orecchio musicale ma non ha mai frequentato alcun corso, saprà comporre un brano dignitoso, non certo perfetto.

Ma che serve la poesia? Non serve per comunicare tra di noi, anzi sarebbe ridicolo chiacchierare tra di noi poeticamente: è piuttosto una forma esclusiva e irripetibile di linguaggio, e non un mezzo di comunicazione. Quindi non serve a fini utilitaristici, ma, se è per questo, neppure la musica, che serve solo a deliziare l’orecchio, e neppure un quadro che serve a deliziare la vista, né la scultura, la danza, ecc.

La poesia non deve essere qualcosa di istintivo, ma di riflettuto; poche volte ciò che si è scritto di getto è subito poesia, o almeno ciò può valere solo per quel tipo di poesia chiamata postprandiale, ovvero quella scritta in occasione di un matrimonio o di un pranzo di coscritti. Ma non si può parlare di poesia. Mi sento di spronarvi a continuare a scrivere, voi che avete già il dono di saperlo fare (se non fosse per questo, non leggereste queste mie righe), ma anche e soprattutto a leggere, e principalmente i nostri grandi poeti del 900 (secolo davvero d’oro per la poesia italiana, da Ungaretti a Montale, a Saba, a Quasimodo, a Luzi, c’è solo il problema della scelta). Tutti, anche quelli che scrivono solo in dialetto, dovrebbero conoscere i nostri grandi del 900, perché c’è sempre un’affinità, un trait d’union tra dialetto e lingua, e, chi conosce bene la lingua, impara un qualcosa in più anche per il suo dialetto.

Per concludere: per essere dei veri poeti non occorre non farsi capire; anzi, i veri poeti sono quelli che lasciano un messaggio comprensibile, che resti nella memoria del lettore.

Immagine di GRAZIA LUZIO

Grazia Luzio è nata a Potenza, fin dall’infanzia si è stabilita con la famiglia a Genova dove tuttora risiede. Ha frequentato scuole d’arte fra le quali l’atelier della Prof. Alda D’Alessio e del Prof. Lorenzo Massobrio. Dal 2007 ha partecipato a numerose mostre.

“Visioni oniriche e idealizzate sono il cardine della pittura di Grazia Luzio. Figure umane attraverso le quali, mediante una ricerca incline all’introspezione, l’artista assortisce, in aure delicate e incantate, variazioni originali sul tema del controverso rapporto tra reale e surreale, soggetto e autore, raffigurante e raffigurato, naturale e soprannaturale”

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