Il mare ha la libertà di fare il mare, e schiuma, ondeggia, s’accavalla, rugge, corre di qua e di là, va avanti e indietro in un via vai di acqua sulla spiaggia, a volte freme, suona e a volte arpeggia, musica che solo Dio sa far suonare. Il mare ha la libertà di fare il mare. Anche il poeta ha la libertà del mare, e mette giù due versi e li cancella, toglie una parola che non suona, ne cerca una facile all’arpeggio, ne guida il ritmo, sillabe di canto sullo spartito della metrica, ne accentua a orecchio una vocale, affina il verso che danzi sulle labbra e lasci un suono armonico all’udito. Come il mare, il verso, una musica che suona sullo spartito di Dio, il verso e il mare, canto di poesia, canto di mare.
Cavallino dalla coda di sale che trastulli l’algida luna, galoppa al pueblo di Mancora, la gente teme una sciagura. Destriero senza cavaliere, non farti scoraggiare quando l’oceano tuona, il nocchiere è tutt’uno col mare. Galoppa fino al pueblo bianco, fino ai margini del deserto, la stiva rigurgita di ghiaccio, il peschereccio è pronto a salpare. Cavalluccio burellato d’argento, scendi nell’abisso profondo fino al relitto di quel pescatore prigioniero della sua fatica.
Oh placido Garda che risciacqui col dolce tuo blu brevi riflessi di vita, riporta al largo vele da troppo ammainate, timoni ammuffiti tra i tuoi flutti profondi.
Un torrente tra i monti
Placido Leno che scorri gentile tra gli argini che l’uomo ti pose, dall’imo alveo che accoglie il tuo corso osservi imparziale lo scorrere lento delle umane facezie che con la tua acqua ricevono vita e laborioso impulso al loro operare. Da valli anguste trai le tue origini, ma nell’ameno Borgo trovi il tuo sfogo finale, impreziosendo con il tuo gaio mormorio il quieto incedere quotidiano di ogni passante.
Nota: il Leno è un torrente che nasce sulle Piccole Dolomiti e che lungo il suo tragitto attraversa i comuni di Vallarsa, Terragnolo, Trambileno e Rovereto, per poi sfociare nel fiume Adige. Il lago di Garda, citato nella prima poesia di Michele, abbraccia la parte sud-ovest del Trentino lambendo i comuni di Torbole e di Riva del Garda.
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Lo sguardo scende, scivola lungo l’ombra di un pensiero liquido, poi si tuffa e rimbalza schizzato da gocce come di pozzanghera. E poi? Poi, giochi di risacca senza mare, immagini di un vetro senza onda, un cristallo fluido, volante, immobile nel mattino bagnato di luce. È soltanto un’idea di pensiero liquido, pensiero pensante che sa di non pensare. Perché pensare? Nuotare, si! Nuotare…forse. Nuotare per sciacquare la mente stanca, aprire il rubinetto del lavacro antico e schizzare nella danza delle gocce che si frantumano nel nulla come stelline rapite dal vento, disperse per sempre. Rincorrere come per gioco le bollicine dell’acqua gassata che salgono dal bicchiere di vetro pulito per scoppiare felici e inutili. Lo sguardo ora sale, cerca l’acqua lustrale dove tuffarsi come un missile senza ritorno, un sacro vettore di pace bagnata di Dio. Ed è gioia.
Improvviso Acquatico N° 2
Acquazzurra acqua chiara, fresca e dolce come petrarchesca icona d’arte liquido profumato di fresco, immagine trasparente. “Fontanella d’acqua ricciuta” canta la filastrocca, “dico a tutti che t’ho bevuta” risponde il coretto “ho bevuta quest’acqua matta, cielo caduto, neve disfatta”. Acqua disfatta, verde putredine d’uomo impazzito “Aqqua” come un errore, “Acua” senza la “q” acqua come sciacquone, acqua salata di mare acqua salata di lacrima acqua dell’onda acqua innocente, acqua inquinante acqua rubata alla gente acqua rubata alla mente acqua del Rubicone il dado è tratto! Acqua minerale acqua siderale acqua di un vecchio mulino acqua di quand’ero bambino acqua bevuta, acqua finita.
Pulisci detergi disseti: proteggi. Bolli ribolli, vuoti riempi ricolmi; diluvi sommergi e ti prosciughi; scendi dal cielo o sali surgiva; stagni ristagni poi impetuosa precipiti a valle. Cristallina o nera come il petrolio: blu Blu notte Blu elettrico Blu cobalto: celeste Azzurra, azzurrina, azzurrognola, azzurra chiara, azzurra scura, azzurra acqua marina: turchese o verde smeraldo. Limpida, limpidissima, trasparente Torbida, torbidissima, marrone Leggermente increspata O liscia come l’olio: placida, ferma, immobile, inerme; mare forza nove, Marosi cavalloni e furenti destrieri …acqua, e così sia…
Schizzarsi d’acqua
Ci si divertiva un sacco, io e tu, a farsi inzuppare dalla pioggia; scambiandosi, di tanto in tanto, un tenero bacio e solo per vederti ridere fingevo di nuotarci in mezzo. Schizzarsi poi, come bambini, d’acqua era il nostro divertimento preferito. Una volta a casa ci si tuffava in doccia, ovviamente bollente: bello era toccarsi. Mentre, sorseggiando un the, guardavi seduta sul divano la tv, ti asciugavo i capelli; e mi dicevi “scemo”, se non li stiravo a dovere. Non te lo ho mai detto, ma era eccitante sentire i tuoi gridolini chiamandomi così. Ti facevi d’un tratto seria; posavi l’infuso sul tavolino, spegnevi il televisore e si faceva all’amore. Ci si divertiva così noi due, incuranti del raffreddore.
Le increspature dell’acqua si contornano di foglie colorate quasi a cancellare quell’immagine ora certa e ora confusa. Sulle sponde, camminano splendide riflessioni per un tempo che si ferma ad ammirare un cigno intento ad alzarsi in volo. E il silenzio saluta questa meraviglia mentre nella notte la luna e le stelle giocano a ritrovarsi illuminando il suo profondo colore.
Bolla di sapone
Trasparente, luccicante s’innalza leggera verso l’azzurro cielo rapita da sguardi bambini illuminando l’aria con magica immaginazione mentre i sorrisi intorno colorano il mondo che in cerchio ha perso per un attimo il suo contorno.
Gocce di rugiada
Prima una, poi un’altra poi incominciano ad arrampicarsi sul volto, sulle braccia su tutto il corpo. Piccole gocce di fresca rugiada che si staccano dalla magica fonte e sussurrano tenere emozioni a visi osservanti luminosi d’amore. Piccole gocce che recano messaggi da leggere con il silenzio del cuore sorridenti allo sbocciare di un nuovo piccolo amato fiore.
Tu sei mare profondo, che nasconde tesori inesplorati. Sei la pioggia: sei goccia di rugiada sul fiore inaridito che rivive al tuo bacio d’amore. Tu, acqua chiara, acqua cristallina di fonte… tu, torrente che trascina nell’impeto di piena… Sei il candido mantello che ricopre i campi nell’inverno, perché il frutto si generi e maturi. Purifichi ogni cosa e la rigeneri; sei vita ed energia. Risuona il bosco al tuo canto perenne e si rinnova quando scendi dal cielo. Tu cadi poi violenta dalle rupi, e imprigionata muovi le turbine per dare luce agli uomini e lavoro alle città lontane. Sii benedetta, acqua, che riposi nei laghi alpini, e che fecondi i campi e disseti le mandrie della valle e i pascoli dei monti! Sii benedetta, acqua!
Mare
1 Il mare è calmo. Un bimbo sulla riva gioca con l’acqua. 2 Guizzano i pesci nell’acqua trasparente: lampi d’argento. 3 Brezza leggera increspa la marina. L’aria è serena. 4 Una ragazza si stende sulla spiaggia: la bacia il sole. 5 Scura è la notte. Sul mare, le lampare, uniche luci. 6 Per cinque giorni il vento di ponente porta tempesta. 7 Onde incalzanti relitti d’ogni genere portano a riva.
Me fermo dopo Nago, sora sta gran terrazza ‘n de na corniss de fiori, el lac a rimirar. Davanti a mi sto spègio, né quadro né rotont, ch’el ciapa òci e ‘l rèst… da Riva, fim zo ‘n font. ‘Ntorno, ‘ntorno vedo paesi e paesòti, co l’aqua che li bagna e cocolài da ‘l sol. Me gusto sto spetacol, che me ‘mbriaga ‘l cor.
Ti sei cossita bèl, che, bisogna che te varda; sto prà fiorì de barche: l’è ‘l nòss… Lac de Garda. Per veder sta gran pocia de aqua ciara e nèta, forèsti o no forèsti i vèi da tant lontan. D’istà per far el bagno o ‘n giro ‘n la barcheta; d’inverno i se contenta de bagnarse sol le mam.
La sera, lì ‘n gual nòt, quando el sol s’à smorzà, gh’è l’aqua che par òio… … te resti lì ‘ncantà.
El sabiom e l’aqua del mar, ai altri ghe lasso; e le navi… che i se le varda, che mi ‘l sol el ciapo ‘ntra i sassi e me bagno… ‘n tel noss Lac de Garda.
Il mare sommerso guidava i miei passi, come la luna d’ottobre quando rischiarava le tue voci le udivo, ma non abbastanza: chiedevi di fare solennemente la vita e quando la feci urlai di strazio immenso e fosti presente a questa nascita importante fosti tu a guidare il silenzio nei crepitii e divenisti il muro dove deviare l’acqua e le cose nascoste. Mi trovai a gridare ma questa volta come il nato che chiede e mi nutrono ascoltando gli scalpiccii delle mie gambe malferme sull’assito. E rimango prudente perché se dolce era la lentissima notte di amore profondo ho ancora il tuo passo nelle mie ragioni.
‘Ncucià ‘n riva a l’Ades el vardo passar apiàm. poca aqua, qualche candolòt, legni e màce strambe, brontoléva le trote stormenìe ‘ntra i sassi slisi, gnanca bone de arfiàr. Dale bande macióni spelài, sechi, seài. ….” Te sei brut, g’ò dit…. Da bòcia vignivo a zugàr, te eri sam, nèt. I to ghirli de aqua pirleva rabiosi dopo le séche d’istà, senti vene la to voze ‘n la nossa Val, fim al piam, ‘nte ‘l mar.” ….” Som malà, ‘l me diss, nissum vol che guarissa….” L’ò carezà come en putelòt, ‘na gresta de aqua me bagnava i déi, la scotéva. ….La fevér la è ‘ncor alta….
Due parole con il fiume Adige Accucciato in riva all’Adige/ lo guardo passare piano piano./ Poca acqua, qualche barattolo,/ legni e macchie strane,/ brontolavano le trote/ tramortite tra i sassi levigati,/ neanche capaci di respirare./ Dalle sponde, cespugli spellati./ secchi, assetati./….”Sei brutto, gli ho detto…./ Da piccolo venivo a giocare,/ eri sano, pulito./ I tuoi gorghi d’acqua/ vorticavano rabbiosi/ dopo la siccità d’estate,/ sentivamo la tua voce/ nella nostra Valle,/ fino alle pianure, nel mare.”/ ….”Sono malato, mi dice,/ nessuno vuole che guarisca….”/ L’ho accarezzato come un bambino,/ una cresta d’acqua/ mi bagnava le dita, scottava./….La febbre è ancora alta….
Ruzada
Sgolo lizera, lagrimo fim la matina. Boschi e prai speta el me fià. A palpòm tasto le fize del temp, conosso tuti i sogni de la not. Apiam me molo drento a ‘n fior, el sguazzo de zel, ‘mpenisso le so vene. E lu, morbio e drit me beve fim ‘n font.
Rugiada Volo leggera,/ lacrimo fino al mattino./ Boschi e prati/ aspettano il mio fiato./ A tastoni assaggio/ le pieghe del tempo,/ conosco tutti i sogni della notte./ Lentamente mi adagio/ dentro un fiore,/ lo bagno di cielo, riempio le sue vene./ E lui rigoglioso e diritto/ mi beve fino in fondo.
Strisce di luce ombre filtrate sentore di verde sul bianco frastuono dell’acqua. Limpida sorgente sottili fili d’argento in fresca danza su teneri muschi di sole dorati. Note scintillanti di fuga felice nello stupefacente mondo incantato. Misteriosa l’impronta della natura.
È valso il viaggio
Solo l’abbondanza verde d’acqua in corsa sotto il ponte di Mori solo la linea blu nel chiarore spettrale in fondo al lago dietro grigia cortina di tempesta tra Malcesine e Limone solo la chiara atmosfera lavata del Limarò è valso il viaggio sotto la pioggia e ritorno.
Sei fonte di vita nel grembo materno In neve ti trasformi nel gelido inverno Zampilli, scorri e saltelli per boschi e per monti e nel grigio della città ti confondi Sei l’essenza di ogni cosa Guardando te la mente si riposa Nel mare sei salata Nel lago sei dolce Del fiume sei la fonte Sei il dono di Dio e l’elemento del mio io
Acqua tutto
Acqua tutto possiedi Tutto trasformi Tutto trascini Sei distesa Sei goccia Sei rivolo ti illumina il sole e in arcobaleno ti trasformi ed incanti il mondo speranzoso di felicità
Ora son lampi seguiti dai tuoni ad accompagnare a sera gli affanni degli uomini. Sorpresa dalla pioggia rimango incantata dal fragore di Signora Acqua nostra madre sacra.
Pioggia
Messaggio di pioggia, porta il cielo, entra dalla porta un’aria fresca che mente l’arrivo di una tempesta.
Arcobaleno
Un ponte fra il cielo e la terra, la meraviglia dei colori scioglie le nubi. I temporali vanno lontani, il cielo terso attende il domani.
Acqua, tu che mi culli da sempre, fin da quando i miei occhi vivevano chiusi e non sapevano dissetarsi di te, le mie mani rinfrescarsi della tua premura ed il tuo tempo non era ancora musica e trasparenza, perdonami se puoi… Non c’è un ricordo che mi riporti a te, tuttora non ti conosco ma tu conosci me. Però, lo so, se tu non ci sei il mio cuore brucia, se tu irrompi non c’è spazio, non c’è battito che tu non travolga. Ancor non ti conosco ma tu conosci me. Perdonami se puoi, insegnami se puoi…
Se gli oceani, i mari, i laghi, i fiumi, sono acqua, acqua è anche quella del pantano, della pozzanghera, e, come no?, acqua sono le lacrime che ci scendono giù per le gote e arrivano a bagnarci le labbra. E pare quasi che abbiano il sapore del mare…
‘Na goza
Se pianze pensando a chi avem pers lungo la strada. Se pianze pensando a quant’ l ‘è bela la vita coi regali che l’ha fa. Se sta goza che scende da i me oci e la me bagna la boca che meravilia! Sento el saor del mar.
Una goccia Si piange pensando /a chi abbiamo perso lungo la strada. /Si piange pensando /a quanto è bella la vita /con i regali che ci fa. /Se questa goccia che scende /dai miei occhi /e mi bagna la bocca /che meraviglia! /Sento il sapore del mare.
Acqua
Ho vist ‘na belissima fontana en te’ na piaza. Acqua che score zampila verso le stele. Acqua viva che nutre la vita. Acqua che riflete l’imagine de la luna che splende nel ciel nel ciaror e nel silenzio de la sera. Acqua fresca che diseta la me anima.
Acqua Ho visto una bellissima fontana /in una piazza. /Acqua che scorre /zampilla verso le stelle. /Acqua viva che nutre la vita. /Acqua che riflette /l’immagine della luna /che splende nel cielo /nel chiarore e nel silenzio /della sera. /Acqua fresca che disseta /la mia anima.
Fuori ancora piove. Un mare di pozzanghere senza sole specchiano finestre aperte al cielo. E mentre un passero frugando le ali prende un bagno, mi coglie un fremito. Vorrei salire da solo, lassù, verso l’eterno, aggrapparmi al bordo dell’infinito per rotolare poi libero e felice per le chine scoscese dell’etere.
Alveo vecchio
Ogni zolla, ogni metro di terra strappato a canneti antichi, vivi un tempo di anatre e di folaghe. Gronda sudore di braccia, preghiera e bestemmia, delusione e speranza, per l’uomo che strappa ogni giorno dolore alle mani callose piegate sull’ingrata terra. Passano i giorni, e l’autunno saluta col grido dell’ultimo uccello.
Maria Antonietta Rotter
Nella poesia di tutti i tempi l’immagine del lago si associa spesso a un senso di calma, di meditazione o ripiegamento interiore, quando invece fiumi e torrenti evocano stati d’animo più mossi e mutevoli, se non perfino tumultuosi. Questo dato non è una regola, ma capita di riscontrarlo con una certa frequenza. Basti solo pensare alla poesia di Apollinaire intitolata “Le Pont Mirabeau”, inclusa nella raccolta Alcools del 1913, dove il flusso continuo del fiume è paragonato al passare inesorabile dei giorni, così da evidenziare l’effetto distruttivo che il tempo esercita sull’amore: Passano i giorni e passano le settimane / né il tempo passato / né gli amori ritornano / sotto il ponte Mirabeau scorre la Senna / Venga la notte suoni l’ora / i giorni se ne vanno io rimango. Le esperienze trascorse, gli amori e i ricordi vengono trascinati via dall’impetuosità della corrente, e al poeta non resta che constatare la sua impotenza di fronte al tempo, che non può essere fermato o rivissuto una seconda volta. La vita, sembrerebbe suggerire Apollinaire, ha troppa fretta di scomparire, ma anche se il tempo a noi concesso è molto breve rispetto all’eternità, vale la pena non sprecarne neppure un attimo.
Calma di lago
Nel cielo dal settembre illanguidito, gioca il sole coi cirri a nascondino e manda raggi d’oro sopra il lago tra il fogliame del larice e del pino. Placido il lago, liscio come specchio, rimanda palpiti d’arcobaleno mentre dal bosco immoto solo un picchio osa turbare tutto quel sereno. S’inarca il guizzo argenteo di un pesce… Un’anatra remeggia silenziosa. Nella calma di lago alfin mi riesce, dagli affanni del giorno trovar posa.
Il torrente
Accanto a un masso ombrato di verzura guardo il torrente scorrere nella valle limpido e fresco garrulo sui sassi e penso; Acqua che passi, più non potrai tornare! Diverrai fiume, e poi diverrai mare… Sei come il tempo, sei come la vita che non si ferma: appena ieri sembrava cominciata, e già è finita…
Gocce di pioggia avvelenata attraverso una nebbia intessuta d’inganno e d’indifferenza.
Fredda come un pugnale che penetra improvviso nell’intimo.
Violenta quando si abbatte ed esplode in mille ruscelli che alimentano angoscia.
Amara quando è fonte e sostegno dell’anima ormai pietrificata.
Vitale quando fa crescere la voglia di accendere l’ultimo arcobaleno.
La vecchia fontana
Tanto antica da ingannare la mia memoria alla base di un vecchio ciottolato la fontana della Rosina sul Forno è ancora nel ricordo.
I segni del tempo tanto evidenti penetrano nelle rughe della pietra ad osservare sul fondo l’impronta grigia del passato e quella verde del muschio.
Un filo d’acqua trasparente scende a spumeggiare una nenia di lontani ricordi.
Quella musica immaginaria stimola la memoria e, nella trasparenza dell’acqua fioriscono antiche immagini; la dura vita del tempo nelle torride estati, a piedi nudi a dissetare infinite curiosità.
Risuonano vibranti storie della mia gente, e in quel ricordo, l’anima si ammanta dei colori dell’arcobaleno nello stupore di un concerto di sogno, d’acqua e di vita.
Se rote le acque, se nasse. Se pianse sensa lagrime, le vegnerà co l tempo co no se è popi, e no le serve per ciamar, pù avanti le score nte la vita come su tere nabie el temporale o su tera ngremenia fiochi e giasso. Lagrime, acqua e sale, come sprussi de mar, onde, man slargade a caressar la sabia, a spianar la vita. Lustrini de oci, sorisi de lago, pieni de forsa come l’acqua che mosega e busna pian a far la so strada o rumor de brentana: e ala fine forsi ncor na man co na careza come de mama
Vita-Acqua Si rompono le acque, si nasce. /Si piange senza lacrime, /verranno col tempo /quando non si è bambini, /e non servono per chiamare, /più avanti scorrono nella vita /come su terre asciutte il temporale /o su terra gelata /neve e ghiaccio. /Lacrime, acqua e sale, /come spruzzi di mare, /onde, mani allargate /ad accarezzare la sabbia, /a spianare la vita. /Luccichii di occhi, /sorrisi di lago, /pieni di forza /come l’acqua /che corrode e romba e sovrasta /adagio a fare la sua strada /o rumore di piena; /e alla fine forse ancora una mano /con una carezza come di mamma//
El pensar
El pensar ninà per sora, portà da l’acqua fin al lago, se lassa ndar el pensar; uce de acqua gozze de piova, le ponze le sfanta i lusori; e passi su ste nostre tere siore de acqua mai sparagnada: sassi e peste greve de straco, de stiani, de seci e ninsòi de lissia portai sul bigolo; e resta rento quele de incoi de paesi poreti da na tera nabia, de ordegni tegnui da conto, da mpienir a nassive tegnisse e lontane.
Pensieri I pensieri cullati in superficie, /portati dall’acqua /fino al lago, /si lasciano andare i pensieri; /aghi di acqua /gocce di pioggia, /pungono, /sfumano luccichii/ e passi /su queste nostre terre /ricche d’acqua /mai risparmiata, /sassi /e orme pesanti /di stanchezza, /di un tempo passato, /di secchi e lenzuola di bucato /portati sul bilancino: /e rimangono dentro /quelle di oggi /di paesi poveri /dalla nuda terra, /di contenitori /tenuti con cura /da riempire a sorgenti /avare e lontane.//
Una volta il Po era un fiume piccolo e sporco. A dire la verità non era poi così piccolo perché era lungo 652 chilometri e in poche decine di migliaia di anni era riuscito a costruire coi detriti trasportati dalle sue acque la grande Pianura Padana. Il suo bacino imbrifero, alla fine del ventesimo secolo, era di circa 75000 chilometri quadrati; la sua portata massima sfiorava i 9500 metri cubi al secondo ed era navigabile per lunghi tratti. No, non era poi così piccolo l’antico Padus dei Latini, però era davvero uno dei fiumi più sporchi del mondo. Strano ma vero: nel cuore della ricca Europa, in quella pianura percorsa da secoli di progressi inarrestabili, quasi tutte le città erano prive di depuratori e consentivano lo scarico di ogni genere di rifiuti nelle acque dei fiumi e dei laghi. Naturalmente il Po, strada facendo, raccoglieva i “regalini” di paesi, città, metropoli, industrie, porcilaie e li scaricava nel Mare Adriatico. Purtroppo c’è una verità che troppo spesso viene dimenticata: è molto più facile distruggere che costruire. (dall’introduzione del libro “Storia di una rivoluzione fatta con l’acqua”, Angelo Casamassima Annovi, ed. ArcoLibri, 2007)
L’uomo d’acqua
La pioggia nella notte mentre cerchi di dormire: rombo meraviglioso se hai poesia nel cuore, invito martellante a ripensare alle sorgenti della vita. Sei sempre tu acqua a stordirmi col tuo su e giù tra cielo e terra. Sei un mistero che mi provoca, una voce che mi dice: vieni!, vieni su piccola creatura, dimostra a te stesso di aver capito che io sono dentro e fuori di te: io sono tua madre.
Alle Isole Cheradi
Vi ricordate di me sorelle mie lontane? Ve lo ricordate quel bambino che vi scrutava dal ponte di una nave? Rimase così stupito dal vostro apparire tra le onde che disse: babbo, da dove sono sbucate queste isole? Che risate si fece mio padre! E che risate si fecero i marinai! E voi, San Pietro e San Paolo: ve lo ricordate il ragazzo in quella barchetta a remi che pensava d’aver compiuto un’impresa quando raggiunse le vostre spiagge proibite? Quanti sogni m’avete regalato isole della mia giovinezza! Quante volte ho sognato di regalarvi due immense piramidi luccicanti! Mi sembrava ingiusta la vostra solitudine, il vostro abbandono come due scogli inutili. Volevo avvicinarvi alla luna e alle stelle, volevo che tutti s’accorgessero di voi, ma ormai mi son dovuto arrendere al grigio che avanza tra i capelli. Mi resta ancora una dolce visione: un giorno, un grande uomo col cuore di un bambino riuscirà a realizzare il mio antico sogno.
Anche le lacrime sono fatte di acqua, e se sono quasi sempre espressione di sofferenza interiore possono, in molti casi, avere funzione consolatoria, oltre che liberatoria. Il pianto può infatti sciogliere il dolore, può diventare acqua che ristora una sete a lungo nascosta, trattenuta o negata. Può essere il presagio di una forza ritrovata, di una propensione nuova nei confronti della vita.
Lacrime
Lacrime d’anima scendono giunta alla porta del senso. La apro. C’è luce abbagliante e silenzio assoluto nel tempo fatale e paura. Non oso passare. Non oso sfidare il mistero, così sto sulla soglia e immobile attendo la mossa del fato, mentre il dolore e il ricordo mi lacerano dentro. Improvvisa la forza mi squarcia e mi lancia lontano. Mi alzo, barcollo, il capo piegato, la mano protesa, riapro la porta e oltrepasso la soglia…
Fiocco di neve
Quale mistero è la vita, e quale infinito pensiero è la morte, se anch’io, fiocco di neve sperduto nel turbinio di una tempesta d’inverno, arrivo alla soglia della risposta del senso e lì, volteggiando, mi perdo nel suo infinito candore.
L’Adige, mai stanco dopo tanta strada, scendendo prima come un rapido fiumicello per la Val Venosta, lambisce di corsa Merano, poi sfiora più lento e calmo Bolzano, tocca appena Trento, Rovereto e Ala e finalmente si insinua nella val Padana e s’acquieta entrando a Verona che attraversa tra chiese, torri, palazzi e castelli da un ponte all’altro, e bonario e tortuoso, serpeggiando tranquillo, con curve sinuose, lento, scivola salutando la città puntando verso il mare.
L’Adige scivola lento
Ammira scivolando l’impressione di grigia pietra che sui fianchi non disegna una strisciata di stanchezza e di colore che l’occhio sfuma nell’attesa del tramonto ma la tensione è verso il cuore che l’attende delle chiese, delle torri e dei palazzi, dei teatri, dei castelli e delle mura, che rincorrono, nell’acqua, i campanili, lento scivola e saluta di Verona le vestigia che l’attendono e la quiete.
Allontanarsi è un po’ come morire
L’Adige trita con l’orgoglio degli dei un sentimento di sconforto e delusione, non attende il momento che vedrà il nettare approntato per gioire e rincorre con stringente opacità lo scabro letto che s’allarga alla pianura, si perde l’occhio nel riposo del tramonto per scoprire il disagio di frutteti, abbandona quella dama signorile agghindata dalle piazze e dalle chiese, dai castelli che rimembrano le gesta di gloriose signorie e cavalieri, accarezza con l’ardore d’un amante una brezza che Verona gli ha spedito, ora trema con passione e nostalgia verso spiagge che l’accolgono silenti.
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In principio Dio creò il cielo e la terra. Ma la terra era vuota e deserta: la tenebra era sulla superficie dell’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulla superficie delle acque. Dio disse: Sia la luce! Vi fu la luce. E Dio vide che la luce era buona. E separò la luce dalle tenebre. Dio chiamò giorno la luce e notte le tenebre. Poi venne sera, poi venne mattina: il primo giorno. La radio che strepita. Il televisore che fa a gara col rumore di alcune motorette giù in istrada. L’acqua del rubinetto che croscia con violenza nel lavello mentre lei lava e risciacqua pentole, bicchieri e piatti e tutto quello che c’è da lavare. L’acqua, sì, l’acqua, questa nostra indispensabile amica, nel bene e nel male, nella siccità come nelle alluvioni, l’acqua, questo meraviglioso ammasso liquido di idrogeno ed ossigeno (ogni due atomi di idrogeno, uno di ossigeno, e qui non ci si scappa, la natura non fa eccezioni, miliardi e miliardi di miliardi e ancora miliardi di molecole in un laghetto alpino, tutte composte da due atomi di idrogeno e uno di ossigeno), e, dicevo, scorre nella costrizione delle tubature, sale fino al secondo piano dove abito, giunge al rubinetto e si getta scosciando nel lavello della mia cucina, finalmente libera. Poi, silenzio. Improvviso quasi sconosciuto silenzio. La radio e il televisore sono spenti, i motorini hanno smesso di passare. Pentole, bicchieri, e quant’altro sono sistemati a sgocciolare tranquilli nello scolapiatti. L’acqua non canta più, altra acqua è ancora rinchiusa nelle tubazioni, ferma all’altezza della bocca del rubinetto. Ed ecco che tutto sfuma, dilegua, come se una nebbia avesse portato via tutto, e resto solo io, e, dolce e tenera, sommessa e suadente, una voce che non conosco, mai udita, si confonde con lo stormire leggero delle foglie, col suono appena percettibile di un ruscello. E tutto attorno a me è poesia, tutto è preghiera. E mi pare di sentire l’acqua del ruscello ripetere sottovoce la voce misteriosa del silenzio. Quella del Cantico delle Creature di S. Francesco d’Assisi, il Cantico di Frate Sole.
Laudato si’, mi’ Signore, per sor’Acqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.
Laura nuda fa il bagno in un fiume, come una Venere nascente nell’acqua. Ricordate? Chiare, fresche e dolci acque, / ove le belle membra / pose colei che solo a me par donna… Il sogno d’immensità perdute di acque, di oceani mai navigati, è posto oltre i confini di ogni immaginabile memoria.
L’elemento acqua (in latino senza la c: aqua), le pennellature, le fantasticherie suggerite dagli abissi, i laghi, i fiumi, gli stagni, le lacrime, sono totalmente diverse da quelle che legano al fuoco, alla terra, all’aria. Un esempio classico è quello di Narciso, che contempla ciò che lo specchio d’acqua fa trasparire della propria natura, quando lascia vedere e non vedere. La visione che appare dall’acqua sa addensare in sé un’intensa vita onirica. In tante religioni, anche nella cristiana, l’acqua è il simbolo dell’origine della creazione, come citato nella Genesi: “Lo spirito di Dio aleggia sulla superficie delle acque”. È il grande simbolo della rinascita, della purificazione, della memoria, ma anche della benedizione. L’acqua, rappresenta una simbologia ambivalente e opposta: dà la vita ma dà anche la morte, il Bene e il Male, l’acqua fresca e calma e il diluvio, la distruzione, come il Diluvio Universale della Bibbia. Mi piace l’acqua quando esce dalla notte e diventa rugiada; sono tante gocce di un argento striato da brividi. Acqua, gocce di sapore cosmico, primordiale incantamento. La verità e l’energia dell’acqua, che è la madre del mondo. E tutti noi ne siamo i figli, impregnati e nutriti d’acqua.
Fresca come il primo giorno
Non mi va il tuo fare indifferente: senza di lei tu sai che non puoi vivere. Puoi stare tutto quanto un mese intero senza toccar mai cibo, però starle lontano una settimana, o anche meno, amico mio, tu sai, che moriresti. Non puoi star senza lei, ti appartiene, è una parte di te, e tu la ami, è un prodigio di natura, uno spettacolo creato dalle stelle, ti raffredda i bollori, perché, lei, nonostante i suoi quasi sei miliardi di anni, è fresca come e più del primo giorno, lo sai, che l’hai incontrata. Lei, è tutto per te. Sì, un po’ come l’aria che tu respiri. Lei, l’acqua.
La carezza dell’acqua
Penso a un maggio pieno di pioggia. C’è questo cielo corrusco, gonfio di nuvole irose che si sopravanzano l’una con l’altra. È un mondo irrequieto il cielo di questo maggio sopra la mia città, come pregno di attese, desideri, e, forse paure. Dev’essere bellissimo guardarlo dall’alto dei tetti dei grattacieli, più vicino, incombente, o dagli abbaini di qualche vecchia casa del centro: stare a contemplare la pioggia che scroscia e scivola sui vecchi coppi, appena intiepiditi da un sole fugace. Ma, anche, non c’è forse del bello nel camminare veloci nella pioggia nei viali del parco improvvisamente deserto, e annusare a fondo inebriandocene l’odore buono della terra bagnata? Quel vento che sembra vivo e chi ti butta in faccia la pioggia, a sferzarti, ed è bella questa ruvida carezza dell’acqua! Lo so che odiate tutti la pioggia, ma provate a guardarla mentre batte sui tetti o fa lucente l’asfalto solitamente opaco, mentre impregna la terra riarsa e fa sbocciare gli stentati nostri gerani sui balconi. A me pare così bella… Una carezza di vita nuova.
La mia acqua è chiara acqua sorgiva fra teneri muschi fioriti, è aria che avvolge, carezza, abbraccio, incantato nuoto, è tempo che scorre, canto libero, respiro, emozione, è il principio della vita, cascate di umida memoria, limpida storia, è oscuro liquido, abisso profondo, sorgente sotterranea, è perdute sorgenti, vuoto fondale, terre alla deriva, arsura, indifferenza dell’onda, è girandola di luce, è spumeggianti cascate di luce, gocce scintillanti, è danza, infiniti cerchi, riflesso, opalina trasparenza, è arabesco, arcobaleno in frantumi, polvere d’onda, fluente chioma evaporata, è rumore che trascorre, è murmure cammino, bianco frastuono, rombo scrosciante, levigante fragore d’onda, è liquido sguardo, intrisi pensieri, pioggia nella mente, è rugiada, è umido strisciare di piedi nudi sulla sabbia, è acqua nel bicchiere. E io, in questa mia poesia, m’immedesimo fino a farmi pioggia. E piovo, piovo, piovo…
Pioggia
Ogni giorno di pioggia porta un fresco velo di bruma e gli uccelli stanno intenti ai loro nidi senza volo né canto, e per le strade vanno gli ombrelli e le mantelle per la pioggia come naufraghi in cerca di un approdo. Tutto un diluvio d’acqua sopra e sotto, che cade, schizza, scivola e dà un suono d’acqua, di fango e crosci di grondaia, che gocciola e rimbalza triste e gaia su muri, vetri, gonne e pantaloni. Scendo in istrada ed esco ad inzupparmi, sotto l’acqua che cade ininterrotta, testa, corpo, braccia, mani, gambe, canto di pioggia e musica di gronda, e via via mi sfaccio in gocce d’acqua, e piovo anch’io col cielo e con la gronda, a brente, secchi, olle, catinelle, divento canto e musica di pioggia. E piovo, piovo, piovo, a Dio la manda.
Una mano nella pioggia
Una mano si sporge dalla pioggia, e mi fa un cenno, come a voler dire: Entra, non temere, senza ombrello, credimi, che indugi?, non ti bagni, che aspetti? Qui dentro stai al sicuro, come fossi nel ventre di tua madre. Titubo. È un mattino di settembre, e viene giù una pioggia che non dico, e in tutto quell’anomalo silenzio sento la mano sopra la mia spalla. Entra, ti dico… Ho deciso, ed entro. Che cosa sia successo, non lo dico, non posso, no, la mano me lo vieta. E sono ancora qui, sotto la pioggia, fradicio inzuppato, da anni ed anni, la mano stretta al collo e senza ombrello.
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Domenica 8 ottobre la celebrazione del quarantennio al Colle di Miravalle di Rovereto (TN), che vedrà l’incontro con altre associazioni provenienti da Bolzano, Trento, Verona e Mantova. Segue il pdf con l’intervista apparsa pochi giorni fa sul quotidiano l’Adige, gentilmente condiviso dalla nostra socia Silvana Gottardi.
La poesia ha bisogno di appassionati che scrivano versi, non importa se modesti o ispirati, poiché tutti si nasce poeti dentro, c’è chi ha la cultura e l’ispirazione per eccellere e chi più modestamente si esprime in tono minore, non perché sia meno ispirato, ma perché ognuno usa gli strumenti linguistici che ha a sua disposizione. E in effetti, nell’esercizio della scrittura, ruolo fondamentale lo svolgono gli studi fatti, ma se uno non sente la poesia dentro di sé, fosse anche un professore d’Università, nulla potrebbe farne un poeta, perché con la poesia non si deve andare fino in fondo alla riga.
Una poesia non è un andare ogni tanto a capo, come nella prosa, con la quale si va fino in fondo alla riga, ma andar ogni tanto a capo non è sufficiente per dire che uno scritto è un testo poetico, perché si sa che, come nella musica, anche la poesia ha un suo ritmo, una sua scansione, una sua musicalità, delle regole da seguire, e uno che la poesia ce l’ha nel sangue le segue d’istinto, esattamente come uno, che ha un buon orecchio musicale ma non ha mai frequentato alcun corso, saprà comporre un brano dignitoso, non certo perfetto.
Ma che serve la poesia? Non serve per comunicare tra di noi, anzi sarebbe ridicolo chiacchierare tra di noi poeticamente: è piuttosto una forma esclusiva e irripetibile di linguaggio, e non un mezzo di comunicazione. Quindi non serve a fini utilitaristici, ma, se è per questo, neppure la musica, che serve solo a deliziare l’orecchio, e neppure un quadro che serve a deliziare la vista, né la scultura, la danza, ecc.
La poesia non deve essere qualcosa di istintivo, ma di riflettuto; poche volte ciò che si è scritto di getto è subito poesia, o almeno ciò può valere solo per quel tipo di poesia chiamata postprandiale, ovvero quella scritta in occasione di un matrimonio o di un pranzo di coscritti. Ma non si può parlare di poesia. Mi sento di spronarvi a continuare a scrivere, voi che avete già il dono di saperlo fare (se non fosse per questo, non leggereste queste mie righe), ma anche e soprattutto a leggere, e principalmente i nostri grandi poeti del 900 (secolo davvero d’oro per la poesia italiana, da Ungaretti a Montale, a Saba, a Quasimodo, a Luzi, c’è solo il problema della scelta). Tutti, anche quelli che scrivono solo in dialetto, dovrebbero conoscere i nostri grandi del 900, perché c’è sempre un’affinità, un trait d’union tra dialetto e lingua, e, chi conosce bene la lingua, impara un qualcosa in più anche per il suo dialetto.
Per concludere: per essere dei veri poeti non occorre non farsi capire; anzi, i veri poeti sono quelli che lasciano un messaggio comprensibile, che resti nella memoria del lettore.
Immagine di GRAZIA LUZIO
Grazia Luzio è nata a Potenza, fin dall’infanzia si è stabilita con la famiglia a Genova dove tuttora risiede. Ha frequentato scuole d’arte fra le quali l’atelier della Prof. Alda D’Alessio e del Prof. Lorenzo Massobrio. Dal 2007 ha partecipato a numerose mostre.
“Visioni oniriche e idealizzate sono il cardine della pittura di Grazia Luzio. Figure umane attraverso le quali, mediante una ricerca incline all’introspezione, l’artista assortisce, in aure delicate e incantate, variazioni originali sul tema del controverso rapporto tra reale e surreale, soggetto e autore, raffigurante e raffigurato, naturale e soprannaturale”